Intervista all’artista russo che oltre ai palchi dei migliori teatri del mondo ha dominato anche le pellicole internazionali.
Articolo di Federico S. Bellanca
Compie quarant’anni il film White Nights (Il sole a mezzanotte) e invece di avviarsi nell’archivio del Cinema torna a illuminare il buio delle sale cinematografiche, come successo durante una serata speciale al Teatro Niccolini di Firenze che ha visto la proiezione della pellicola in presenza dei protagonisti, Helen Mirren e Michail Baryšnikov, insieme al regista Taylor Hackford.
Michail Baryšnikov alla proiezione de Il sole a mezzanotte
Nonostante l’anniversario sia di quelli importanti, il film non perde del tutto d’attualità, come sottolineato anche da Hershey Felder, direttore artistico di Firenze On Stage, visto che la trama che ruota attorno alla defezione di un ballerino russo dall’Unione Sovietica, risulti tristemente attuale nel contesto geopolitico odierno. “Firenze è un centro culturale straordinario, senza alcun dubbio. Ha una storia unica che la collega alla creazione dell’Europa e alla cultura in senso ampio. È un luogo che ha saputo conservare il suo spirito, rimanendo un punto di riferimento per l’arte e la cultura”. Sono le prime parole dell’artista russo dalla sua suite dell’Hotel Savoy. “La sua importanza va al di là dell’aspetto storico, rappresentando anche un centro dove si possono ancora percepire le radici della nostra civiltà. È una destinazione incredibile per chi cerca una connessione con la cultura”.
Danzando sulla cortina di ferro
Nel film, un aereo diretto verso Tokyo è costretto a un atterraggio d’emergenza in Siberia. A bordo, Nikolai “Kolya” Rodchenko (interpretato da Baryšnikov), un ballerino che ha disertato l’Unione Sovietica otto anni prima e che è stato condannato in contumacia. Rodchenko, gravemente ferito, viene trasportato in ospedale dove viene riconosciuto dal colonnello Chaiko un ufficiale del KGB. Chaiko, un uomo crudele e pericoloso, mette Rodchenko sotto la sorveglianza di Raymond Greenwood (Gregory Hines), un ballerino di tip-tap afroamericano che, come Rodchenko, ha attraversato la cortina di ferro dopo essersi rifiutato di combattere in Vietnam. Chaiko vuole che Rodchenko balli all’apertura della stagione del Kirov per dimostrare la supremazia della cultura russa su quella americana.
I primi 40 anni della pellicola
Greenwood dovrà persuadere Rodchenko a partecipare. Arrivati a Leningrado, Rodchenko ritrova il suo appartamento, il teatro Kirov e la sua ex partner, Galina Ivanova (Helen Mirren), che, seppur arrabbiata per l’abbandono, diventa complice nel piano di fuga. Il piano si complica quando Greenwood scopre che sua moglie Darya (Isabella Rossellini) è incinta e decide di fuggire con loro.
Si sente l’emozione di Baryšnikov quando parla di questa pellicola e dell’anniversario, soprattutto per l’aspetto umano: “Sì, il prossimo anno saranno 40 anni. Ci sono momenti che non ho rivisto da allora, ma ogni tanto guardo alcune sequenze a cui sono particolarmente affezionato. Mi viene in mente quella scena in cui ballavamo con la canzone dei Wasowski. Il film è stato girato in molte capitali del mondo, da Helsinki a Londra, a Parigi. È stato un grande successo per la Columbia Pictures. Sono felice di aver preso parte a un progetto così importante, e sono grato per aver lavorato con persone straordinarie come Helen Mirren, Isabella Rossellini e Gregory Hines. È stato un lavoro che sono davvero orgoglioso di aver fatto”.
Quarant’anni d’attualità: le parole del Maestro
Baryšnikov interpreta un ruolo che, per alcuni aspetti, tocca le corde della sua esperienza personale. Il celeberrimo ballerino infatti, nato in Lettonia da genitori russi, si avvicina alla danza a undici anni, e a sedici entra nell’Accademia Vaganova, una delle più prestigiose scuole di balletto del mondo. Nel 1967 entra nella compagnia del balletto Mariinskij (ex Kirov), dove viene notato per il suo straordinario talento, la purezza del suo stile e la sua presenza scenica.
La sua carriera, però, non è priva di difficoltà: la sua statura ridotta e la rigidità del balletto sovietico lo spingono a cercare nuove opportunità fuori dai confini dell’URSS. Il 29 giugno 1974, durante un tour in Canada con il balletto Kirov, Baryšnikov diserta e chiede asilo politico. Si trasferisce negli Stati Uniti, dove diventa cittadino americano nel 1976. Ha danzato con il Royal Winnipeg Ballet, l’American Ballet Theatre e il New York City Ballet, collaborando con coreografi leggendari come George Balanchine.
Nel 1990 fonda il White Oak Dance Project e, nel 2005, il Baryshnikov Arts Center a New York. Parallelo che non riguarda solo la sua biografia, ma anche la situazione politica attuale e del suo riflesso nel film. “Oggi, le dinamiche politiche sono complesse e, purtroppo, la situazione internazionale sta peggiorando. Il rapporto con la Russia e ciò che sta accadendo nel mondo ci colpisce profondamente. Ma, guardando al film, si trattava comunque di una sorta di fantasia in stile Hollywood, una riflessione sulla realtà di allora”, ha commentato.
Il ruolo dell’arte per Baryšnikov
“Oggi, più che mai, credo che l’arte abbia un ruolo fondamentale nella nostra società. Dobbiamo rimanere fedeli ai valori umani positivi, cercando di tornare all’essenza dell’arte e rivalutando il nostro rapporto con essa, soprattutto in tempi difficili come quelli che stiamo vivendo in Russia, negli Stati Uniti, in Europa e nel resto del mondo”. La sua celebrità oltreoceano è tale da farlo arrivare anche nel mondo del cinema e della televisione, ottenendo una nomination all’Oscar come miglior attore non protagonista per il suo debutto cinematografico nel film Due vite, una svolta (The Turning Point – 1977), e arrivando a diventare icona pop nel ruolo dell’artista russo Petrovsky nella sesta e ultima stagione della serie televisiva Sex and the City.
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