Dopo Parigi, Torino dedica una mostra personale, con tanti inediti, alla fotografa americana. Che si nascondeva nei riflessi delle vetrine per non comparire nei suoi scatti, e non saprà mai quanto verrà apprezzato, quasi per caso, il suo talento
articolo tratto dal numero di marzo di Robb Report Italia
Strano destino quello della statunitense Vivian Maier (1926-2009), istitutrice per professione, fotografa per vocazione, consacrata tra i maestri dell’obiettivo per circostanze da romanzo. Succede quando, per morosità, vengono requisiti e messi all’asta i suoi miseri effetti personali: abiti, cappelli, scontrini, anche assegni di rimborso delle tasse mai riscossi, e, a sorpresa, centinaia di negativi e rullini da sviluppare.
Un talento nascosto
Capitano nelle mani giuste, quelle del giovane, curioso John Maloof, che li stampa e posta su Flickr. Un successo. È il 2007 e il mondo scopre così il suo talento. Lei, sola, malata, indigente, senza fissa dimora, non lo saprà mai. Una storia agrodolce raccontata in filigrana dalla mostra dal titolo Inedita (fino al 26 giugno), approdata alle Sale Chiablese dei Musei Reali di Torino dopo una prima tappa al Musée du Luxembourg di Parigi. Alle pareti più di 250 immagini (molte delle quali mai esposte prima d’ora), quasi tutte in bianco e nero, esemplari della sensibilità di questa enigmatica antesignana della street photography.
Una vita spesa tra il lavoro di bambinaia in famiglie della Chicago upper class e la passione totalizzante per la fotografia. “Non c’è traccia di una sua vita sentimentale, non pare avesse amici, era solitaria e indipendente”, ha scritto un suo irriducibile estimatore, Alessandro Baricco. Nel tempo libero, la fedele Rolleiflex al collo, Vivian batte instancabile le città in cui di volta in volta le accade di vivere: New York, Chicago, Los Angeles.
Sceglie di preferenza quartieri proletari, dove cattura volti che parlano molto spesso di povertà, di lavori estenuanti, di destini ai margini dell’euforia del sogno americano. Ritratti impassibili e austeri, colti frontalmente nel momento del click. Quando invece immortala sé stessa, non rivolge mai lo sguardo in direzione dell’obiettivo, ma i suoi occhi severi sfuggono, riflettendosi in specchi e vetrine. Nei suoi scatti compulsivi si concentra anche sul linguaggio delle mani, dei gesti, delle posture, specchio di pensieri, intenzioni, desideri inespressi.
La passione di Vivian Maier per il viaggio
Enorme, va da sé, la mole di fotografie sulla realtà a lei più vicina: l’infanzia; dei più piccoli ha documentato smorfie, espressioni, emozioni, giochi, fantasie. Chissà se le piacevano davvero i bambini oppure se li è fatti piacere per necessità. Di certo amava viaggiare. Tra il 1959 e il 1960 questa incredibile donna intraprende in solitaria un viaggio intorno al mondo. In sei mesi tocca le Filippine, la Thailandia, l’India, lo Yemen, l’Egitto, l’Italia.
Tra gli inediti della rassegna, tra cui dieci filmini da lei girati in Super 8 e due audio con la sua voce, una serie di scatti realizzati tra Genova e Torino. Immagini, queste come tutte le altre, di straordinaria intensità. “Sfido chiunque a fissarle senza percepire, in un attimo di lucidità, la smisurata vigliaccheria del fotografare digitale: devo a tata Maier il mio definitivo disprezzo per Photoshop”, ha detto ancora Baricco.
Oggi la Emily Dickinson della fotografia (che scrisse poesie in segreto, senza mai pubblicarle) è un personaggio di culto, alimentato anche dall’infaticabile attività divulgativa di John Maloof. In un breve periodo di tempo, al lavoro e al mistero di Vivian Maier sono stati dedicati mostre, monografie, documentari (uno prodotto dalla Bbc) e un film, The Woman in the Mirror (2017), per la regia di Ryan Alexander Huan.
Vivian Maier Inedita – Musei Reali Torino (beniculturali.it)
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