Nel cuore del Golfo, tra super eventi sportivi e centri fitness d’élite, prende forma una nuova geopolitica del benessere, dove pugilato, turismo di lusso e salute pubblica si fondono in un inedito modello di lifestyle.
Nel 2024, per la prima volta nella storia, l’unificazione dei titoli mondiali dei pesi massimi è avvenuta non a Las Vegas, Londra o New York, ma in centri sportivi del Golfo a Riad. L’incontro tra Oleksandr Usyk e Tyson Fury ha segnato un nuovo capitolo non solo nella storia della boxe, ma anche in quella della geopolitica dello sport. Un evento da centinaia di milioni di dollari, costruito come un colossal hollywoodiano, con tanto di passerelle, tappeti rossi e un pubblico di celebrità, dignitari e fan volati appositamente nel Golfo.
La boxe è soltanto la punta dell’iceberg. Da alcuni anni, i Paesi del Golfo, con l’Arabia Saudita in testa, si sono ritagliati un ruolo centrale nell’industria globale dello sport-spettacolo: grandi eventi, diritti televisivi, contratti milionari. Ma accanto al lato mediatico e commerciale, si sta sviluppando un altro fenomeno, forse ancora poco noto: il turismo sportivo di lusso.
Il turismo sportivo come asset nei centri del Golfo
Il principio è semplice. Perché non attrarre anche chi vuole allenarsi come un campione? Con questa logica nascono i nuovi super centri sportivi del Golfo: vere e proprie cittadelle del benessere e dell’allenamento, pensate per una clientela tanto locale quanto internazionale fatta di imprenditori, sportivi semi-professionisti, influencer e appassionati con un alto potere d’acquisto. L’obiettivo è creare un ecosistema in cui sport, lusso e lifestyle si fondano.
L’idea del turismo sportivo ha moltissimi precedenti (basti pensare ai surfisti che hanno messo sulla mappa località come Nazaré, in Portogallo) e anche nel mondo dei fighter esiste un esempio che ha preceduto questa tendenza, ovvero quello della Thailandia, dove il turismo sportivo legato a Muay Thai e kickboxing è un business consolidato. Ogni anno, centinaia di migliaia di appassionati si recano a Phuket, Chiang Mai o Bangkok per frequentare campi specializzati che offrono programmi intensivi con due sedute al giorno, alloggio, pasti bilanciati, yoga ed escursionie.
Un’esigenza sociale
Nel Golfo, la posta in gioco è diversa, ma la logica non è distante. Ospitare grandi eventi significa posizionarsi nel sistema globale dell’attenzione, ma serve anche a stimolare un cambiamento interno. In Arabia Saudita, Emirati, Qatar e Kuwait, i tassi di obesità e sovrappeso sono infatti diventati negli ultimi anni tra i più alti al mondo. Secondo l’OMS, oltre il 71% degli adulti sauditi è in sovrappeso, e più del 40% clinicamente obeso. In Qatar la situazione è simile, e negli Emirati circa il 40% dei bambini risulta già in sovrappeso. Le cause? Un mix di temperature estreme che costringe a stare al chiuso la maggior parte della giornata e a muoversi solo in auto, urbanizzazione rapida, sedentarietà e diete ipercaloriche dominate da fast food e bibite zuccherate.
In questo contesto, lo sport diventa uno strumento di politica pubblica. I governi lo promuovono non solo per immagine, ma per necessità: settimane dello sport, palestre climatizzate, programmi scolastici, iniziative di comunità. Il messaggio è chiaro: allenarsi è una scelta necessaria per la salute collettiva.
I super centri sportivi nel Golfo firmati dai grandi pugili
Tra gli esempi più emblematici c’è il Mike Tyson Boxing Club di Riad, aperto nel 2023 nella Boulevard City Sport Zone. Primo centro ufficiale al mondo con il nome del campione americano, è gestito dal trainer Joe Gallagher e offre programmi per giovani e adulti. Con oltre 1.400 m² di spazi high-tech, ring professionali e una visibilità garantita dalla presenza di atleti come Anthony Joshua, il club incarna il passaggio dalla spettacolarizzazione allo sviluppo di una reale cultura sportiva nel Paese.
Se in Arabia Saudita si punta sul nome leggendario dell’ex campione dei massimi, negli Emirati la struttura più visionaria è quella di SIRO One Za’abeel a Dubai, pensato come un fitness center di nuova generazione. L’intero concept si sviluppa attorno a cinque pilastri fondamentali: fitness, nutrizione, sonno, recupero e mindfulness.
A rappresentare la componente pugilistica del progetto è una figura simbolicamente potente: Ramla Ali, pugile professionista, nata in Somalia e cresciuta nel Regno Unito, è stata la prima donna musulmana a rappresentare la Somalia alle Olimpiadi. La sua immagine è ben lontana da quella di Iron Mike, ma è proprio questa distanza a renderla perfetta per il contesto di Dubai. Ali incarna un modello di atleta impegnata, cosmopolita, consapevole: oltre alla carriera sul ring, ha fondato il Ramla Ali Sisters Club, un progetto che promuove il pugilato tra donne rifugiate, abbattendo barriere culturali e sociali.
Sport e cultura
La scelta di associare il volto di Ramla Ali a SIRO rappresenta un chiaro segnale di posizionamento culturale. Dubai vuole essere percepita come una città aperta, globale, inclusiva, capace di attrarre talenti, professionisti e appassionati da ogni parte del mondo. Puntare su una donna simbolo di empowerment e modernità, conferma questa visione.
Ma SIRO ambisce a essere molto più di un centro benessere. L’obiettivo è trasformarsi in un nuovo status symbol, un ecosistema esclusivo dove allenarsi equivale ad affermare uno stile di vita. Ogni percorso comincia con una scansione 3D del corpo, che permette di personalizzare ogni programma in base alla condizione fisica e agli obiettivi dell’individuo. L’esperienza è accompagnata da un’app dedicata che monitora in tempo reale progressi, alimentazione, vitalità e qualità del sonno.
Il cuore pulsante di SIRO è un centro fitness d’avanguardia su due piani, con oltre 1.000 m² di palestra attrezzata, programmi di allenamento sviluppati da atleti professionisti come la stessa Ali, spazi dedicati allo yoga e alla meditazione. A completare il tutto, un Recovery Lab di ultima generazione, con crioterapia, infrarossi, ossigenoterapia, stretching assistito e trattamenti su misura per la performance e il benessere.
Da Ryhad a Dubai, nel Golfo si suda, eccome. Certo, non sotto il sole a picco, ma tra marmi lucidi, climatizzazione perfetta e app di monitoraggio ultra personalizzate. E se un tempo sudare nel deserto era un’espressione di fatica estrema, oggi è diventato un lusso riservato a chi può permettersi il fitness come esperienza totale, tra ring iper-tecnologici, rituali del benessere e storytelling identitario. In fondo, il nuovo modo di combattere non è solo sul ring, ma anche sul terreno sempre più competitivo del lifestyle globale.
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