Quando l’opera di un artista diventa archetipica, come nel caso di Tim Burton, il rischio che l’immaginario popolare si sovrapponga alla riflessione esistenziale è ovviamente molto alto.
Si tratta soltanto della sua estetica gotica e di una cera eccentricità stilistica, unite a una visione del mondo in cui la luce e l’oscurità sono elementi di tensione visiva. Ma è proprio questo il suo fascino. Nel caso del celebre regista americano, l’arte – che si tratti di cinema, disegno o installazione – lavora sul margine fra ciò che è visibile e ciò che resta nell’ombra, rendendo quella frizione il vero campo dell’esperienza.
Tim Burton premiato alla Florence Biennale

Non stupisce quindi che la XV Florence Biennale – Biennale Internazionale dell’Arte Contemporanea abbia scelto di dedicargli un omaggio e di assegnargli il Premio “Lorenzo il Magnifico” alla carriera. Burton rappresenta infatti una delle rare figure capaci di unire la forza del racconto popolare alla profondità simbolica dell’arte visiva, in un linguaggio riconoscibile ma mai pacificato.
Firenze ha accolto il suo immaginario con una mostra andata in scena alla Fortezza da Basso che riunisce disegni, illustrazioni, sculture e materiali d’archivio provenienti da oltre quarant’anni di attività. È un viaggio dentro le origini dell’estetica burtoniana: figure ibride, esseri sospesi fra il comico e il tragico, la vita e la morte, la tenerezza e la deformità. Tutto nasce, come racconta lui stesso, da un gesto elementare: “Tutto comincia con un disegno. È un modo per sperimentare, per dare forma a ciò che non riesco a dire a parole”.
L’importanza del disegno per l’artista

Il disegno, per Tim Burton, non è solo un punto di partenza tecnico, ma un modo di pensare: una scrittura automatica dell’inconscio. “Con tutta la tecnologia di oggi c’è troppo rumore — spiega — Disegnare mi calma, mi protegge, mi riconnette con me stesso”. Da questa dimensione intima scaturisce l’intero universo del regista, popolato da creature che incarnano la vulnerabilità umana e la tensione costante tra luce e oscurità.
È proprio questo il tema cardine della mostra — e il punto più rivelatore del suo discorso artistico “ognuno percepisce in modo diverso la luce e l’oscurità. In La sposa cadavere, per esempio, ho reso il mondo reale più cupo e quello dei morti più luminoso”. Un rovesciamento di prospettiva che sintetizza la sua poetica: nei suoi mondi, la luce non è mai solo illuminazione e l’oscurità non coincide con la tenebra morale, ma entrambe diventano stati d’animo, condizioni psicologiche in dialogo.
L’equilibrio degli opposti in Tim Burton

Burton rifiuta la polarità, cerca l’equilibrio fragile fra gli opposti, “Non puoi avere l’una senza l’altra. Il dramma è oscurità, l’umorismo è luce. È come lo yin e lo yang”. La sua arte nasce da questa oscillazione: nei suoi film e disegni la malinconia si apre all’ironia, il gotico si stempera nella fiaba, la morte diventa occasione di rinascita. È un mondo di contrasti che si toccano, dove la speranza non è cancellata ma resa visibile proprio dal buio che la circonda. Anche Firenze, con le sue luci oblique e le ombre delle pietre rinascimentali, sembra aderire naturalmente a questa visione, definita dal regista “un luogo bellissimo, pieno di texture, di patina e di ombre, quasi un set naturale”. La città diventa così una controparte ideale per il suo immaginario, una scenografia reale che risuona con il suo senso di imperfezione.
Le opere illustrate in mostra

Le opere in mostra — molte provenienti dal suo archivio personale — rivelano un rapporto con il tempo e con la materia che rimane fedele a una poetica dell’imperfezione. “Non sono un collezionista — racconta quasi giustificandosi — ma non butto via nulla. Disegno, metto da parte e passo al progetto successivo. Quando ho visto cosa avevano trovato i curatori, sono rimasto sorpreso anch’io”. Tra schizzi, bozzetti e installazioni, si percepisce la continuità fra il Tim Burton illustratore e il Burton regista: il tratto infantile e ironico diventa architettura visiva, il disegno si fa narrazione. L’oscurità, anziché spaventare, acquista funzione catartica. «Penso che tutti abbiano un po’ di lato oscuro. Disegnare è un modo per non tenerlo dentro, per liberarlo. È una forma di salvezza».
Immagini courtesy XV Florence Biennale
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