Una sinfonia tra etica, tecnica e poesia gastronomica dai sapori iodati. A Sydney, il Saint Peter è la massima espressione dell’ospitalità contemporanea e della cucina di pesce.
Nel cuore elegante di Paddington, tra facciate vittoriane e alberi di eucalipto che ondeggiano sopra i tetti, ad agosto il Saint Peter ha aperto le sue porte all’interno del Grand National Hotel di Sydney. Un trasloco che rappresenta la rinascita di un’idea e il compimento di un viaggio lungo otto anni che ha trasformato la visione di Josh e Julie Niland in una delle voci più influenti della cucina globale.
Il Saint Peter accoglie gli ospiti con la luce naturale che penetra da uno scenografico lucernario, posto perpendicolarmente alla cucina a vista, sopra al cui bancone sono appese alghe ed erbe a essiccare. La sala è un’armonia di ottone curvato, pietra e legni chiari e racconta una bellezza sottile e profondamente australiana. Lo chef’s table da sei posti, consente di vivere un’esperienza immersiva che vibra di precisione, creatività e condivisione, con un menu dedicato di dieci portate.
Ostriche, fermentazioni e materia viva al Saint Peter
Al centro di tutto, emerge la visione radicale dello chef Josh Niland, che rifiuta lo scarto e utilizza ogni parte del pesce, perché tutto ha un valore. Così anche le ostriche diventano materia poetica. Servite su piatti creati a mano da un’artista di Melbourne con frammenti di gusci, vengono condite con una soluzione in cui gli stessi involucri, sciolti in acido fosforico, restituiscono sapidità minerale e profondità oceanica. E Niland invita a masticarle, perché solo così si svela tutta la complessità del loro sapore. Nel suo menu si trovano infatti le migliori varietà australiane, generalmente dalla forma più piccola rispetto a quelle europee ma dai sapori decisi, che spaziano dalla dolcezza delle Merimbula Sapphire alle Organic Wapengo, uniche varietà di Sidney Rock Oysters certificate organiche.
Consistenze e racconti dal mare
Nella cucina di Josh Niland, ogni ingrediente ha un’origine precisa e una storia da raccontare. Attentamente selezionato da produttori e pescatori come i fratelli Heidi e Pavo Walker, di Mooloolaba, in Queensland, arriva nella nella fish butchery di Waterloo dove viene lavorato e lasciato “invecchiare” con il processo dry-age per giorni. All’interno di celle frigorifere a temperatura, umidità e ventilazione controllate, il pesce acquisisce una migliore lavorabilità, perdendo ogni residuo di acqua e concentrando il suo sapore.
Il tonno a pinna gialla del Queensland nella cucina del Saint Peter viene trasformato in una tartare vellutata, adagiata su una rice cake fermentata con yogurt. Un boccone da prendere con le mani, in cui la ricchezza del pesce si intreccia con i capperi artigianali dell’Ananda, nella Limestone Coast dell’Australia del sud, preziosi poiché raccolti a mano, uno ad uno.
E ancora, lo sgombro pescato a canna da Craig Lukey nelle acque del New South Wales diventa protagonista del signature dish di Niland. Marinato in sale e aceto di Champagne, quindi rifinito con olio d’oliva, salamoia di olive e un garum fatto in casa con le interiora, ha intensità, struttura, profondità. Per mangiarlo c’è un rituale ben preciso che ha anche una sua filastrocca: “Bread. Dip. Butter. Fish”. Si inizia insuppando una fetta di pane nella salamoia, arricchendola con del burro salato e poi completandola con i filetti dello sgombro, per una tapa spagnola rivisitata con ingredienti australiani.
Dalla pasta alla Wellington di tonno
La pasta, da Saint Peter, nasce da un gesto audace: cuocere le ossa della trota corallina (coral trout) – pesce rosso dai pois blu, abitante della barriera corallina – fino a ridurle in purè e unirle alla farina al posto delle uova. Il risultato è uno spaghetto dalla consistenza particolare completato con il marron – una sorta di aragosta endemica della zona ovest dell’Australia. Questo viene cotto nel burro, accompagnato da una spuma alla bisque e da alghe raccolte nel Royal National Park, lavorate con rigore e lentezza. È una carezza marina, intensa e precisa, che restituisce il sapore della profondità.
Il Wellington di tonno è un’opera totale. Il filetto centrale, scolpito con perfezione circolare, è avvolto in una dacquoise ai funghi e pasta sfoglia, infornato fino a raggiungere un colore dorato. Al suo fianco, nel piatto trova spazio un roll di cavolo con purè di mela bruciata, cavolo nero e funghi shiitake. Ogni elemento ha la sua salsa: di broccoli, olandese all’aglio nero e un jus realizzato con le ossa del tonno.
Dolcezza d’autore e caviale tibetano
Il dessert è una crostatina al cioccolato Valrhona 70%, coperta da una glassa a specchio su cui brilla il caviale N25. Il nome è dato dalla latitutine dell’allevamento di storioni in Tibet, dove la temperatura costante delle acque permette di produrre queste perle preziose per tutto l’anno. Una volta raccolto, il caviale matura in Germania per dodici mesi. A completare, una crema che chiude l’esperienza con eleganza e una texture setosa.
Saint Peter, il tempio del pesce a Sydney
Il Saint Peter al Grand National Hotel rappresenta la maturità del progetto di Josh Niland a otto anni di distanza dall’apertura della prima venue interamente dedicata ai cultori del pesce. Uno spazio più grande, luminoso e ambizioso, che ha conservato intatta la sua anima. Quella di un ristorante nato dalla passione, cresciuto con rigore e giunto ora alla sua forma più rappresentativa, promotore di un movimento globale di riduzione degli sprechi e sostegno a una pesca più etica e sostenibile.
Immagini courtesy Saint Peter
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