L’architettura sembra votata a superare i propri limiti: più alto, più tecnologico, più audace. Oggi gli edifici sono “intelligenti”, si connettono con gli individui che li abitano e gli ambienti sono concepiti per rispondere al comportamento e alle esigenze del benessere umano. Ma questo basta?
L’architetto Antonio Di Maro, sostenitore del concetto di Neuroarchitettura, vi è rimasto affascinato in giovanissima età, nel corso degli studi, dopo un viaggio negli Stati Uniti. Si tratta di una disciplina che integra neuroscienze e architettura, il cui scopo è creare ambienti che soddisfino i quattro pilastri del benessere umano, influenzando il benessere: fisico (corpo), intellettuale (mente), emotivo (emozioni) e sociale (comportamento).
Antonio Di Maro e la Neuroarchitettura
Di Maro è entusiasta e pieno di talento, sullo sfondo c’è Napoli, “sacra, frivola, determinata, fiera e viva più che mai” città in cui il progettista (premiato tra i 100 architetti più giovani e talentuosi d’Italia) opera con il suo team. Qui sta costruendo un percorso fatto da progetti che spaziano tre opere di grande impatto sociale a imprese che operano nel lusso. Antonio, l’architettura e la città di Napoli sono inscindibili, l’uno completa l’altro che altrimenti apparirebbe incompiuto e mentre lui racconta la grandezza di Napoli dal punto di vista storico e culturale, ci si rende conto che non poteva che nascere lì.
L’impatto della Neuroarchitettura sulle future costruzioni
“Sarebbe magnifico se si progettassero edifici basati sulle emozioni, sulla guarigione e sulla felicità di chi li vive. Ospedali che aiutano nella ripresa dei pazienti, scuole che incoraggiano la creatività, ambienti di lavoro che rendano le persone più concentrate”, questa è la Neuroarchitettura secondo Di Mauro. “Progettare ambienti efficienti basandosi non solo su parametri tecnici di normativa, ergonomia e comfort ambientale, ma anche su indici soggettivi come emozione, felicità e benessere”.
Per comprendere le potenzialità di questa disciplina, basta pensare a come la popolazione impiega la maggior parte del proprio tempo. Buona parte è all’interno di luoghi chiusi. Aspetti come la luminosità, lo spazio, l’altezza dei soffitti influenzano parametri chiave come la concentrazione, lo stress e la creatività, perché il cervello e i comportamenti sono influenzati a livello biochimico dall’ambiente in cui ci si trova.
Come lo spazio influenza il comportamento
Il cervello invia continuamente messaggi relativi all’ambiente tramite le sensazioni. Quando si entra in un luogo pulito e luminoso si prova benessere, mentre camminando in luoghi bui e stretti o scarsamente illuminati, l’angoscia prende il sopravvento. Questo perché a livello neuronale, alcune aree dell’ippocampo contengono cellule particolarmente attive nel riconoscere forme geometriche e organizzazione dello spazio circostante.
Ogni volta che ci si addentra in un luogo, queste cellule elaborano le informazioni di ordine spaziale creando delle mappe cognitive che saranno alla base delle emozioni/sensazioni esperite e delle decisioni prese. “Con il mio team – prosegue l’architetto Di Maro – ambiamo a pianificare le emozioni e le mappe cognitive che gli edifici e gli ambienti suscitano in chi li vive già in fase di progettazione. Con i progressi delle neuroscienze, diventa ogni giorno più facile misurare questi indici e capire come forme, colori e spazi possano influenzare le percezioni umane”.
La percezione del verde
Gli elementi naturali, oltre a migliorare la qualità dell’aria all’interno dello spazio, portano tranquillità alle persone. Sfruttando questo principio l’architetto ha progettato la sala d’attesa del reparto oncologico neonatale del Pausilipon, rendendo ludico un ambiente ostile al mondo infantile grazie all’installazione di una foresta tridimensionale realizzata con materiali sostenibili, con l’intenzione di donare ai bambini l’idea di contatto con l’ambiente l’esterno.
I prossimi progetti dello Studio Di Maro & Partners proseguono in questa direzione. Come il Centro Aba For Disability, che offre servizi di analisi comportamentale, fortemente voluto dalla dottoressa Valeria Pascale e dal dottor Guercio che oggi fa parte del Comitato Abai ed è membro del consiglio di amministrazione della Missouri Association for Behavior Analysis.
Le origini della Neuroarchitettura
Uno dei primi a osservare che gli spazi possono influenzare le emozioni è stato il medico americano che ha creato il vaccino antipolio, Jonas Salk. Negli anni ’50, Salk trascorse del tempo in Italia e si rese conto che ogni volta che visitava la Basilica di San Francesco d’Assisi, costruita nel XIII secolo, diventava più creativo e ispirato. Tornato negli Stati Uniti nel 1962, creò il Salk Institute per la ricerca nei campi della biologia molecolare, della genetica, delle neuroscienze e della biologia vegetale nella città di La Jolla, in California, rivolgendosi all’architetto Louis Kahn. Chiese che il progetto potesse fondere arte e scienza, funzionalità ed estetica, per ispirare gli scienziati a fare ricerca come gli artisti fanno arte. Oggi l’edificio dell’Istituto è uno dei più incredibili ed emblematici costruiti nel XX secolo.
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